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giovedì 22 giugno 2017

Startup senza interlocutori, le imprese chiedono un canale di dialogo

Le startup vogliono un canale di comunicazione per dialogare con il legislatore. Il Parlamento rivendica il ruolo di regolatore: la richiesta arriva da Soundreef e Flixbus alla fine di un incontro tenuto a Luiss Enlabs, acceleratore romano di startup, e nella stessa occasione il presidente della commissione Bilancio della Camera Vincenzo Boccia ha rivendicato le funzioni del legislatore. I fondatori delle due imprese innovative hanno chiesto ufficialmente al ministero dello Sviluppo economico di "creare un organismo di tutela per le imprese innovative per interagire con lo Stato e le istituzioni in modo trasparente e regolamentato".

Sfida a Siae

Soundreef, società fondata da Davide d'Atri, è nota per aver sfidato il monopolio Siae nella gestione del diritto d'autore chiedendo la liberalizzazione del mercato.
Un emendamento frena Flixbus

Flixbus è stata limitata nella sua operatività dalla manovra dello scorso maggio, che le impedirà dal prossimo ottobre di offrire servizi di linea perché non possiede autobus di proprietà. Due casi che raccontano come società con business alternativi a quelli tradizionali abbiano trovato difficoltà ad operare in Italia, nonostante abbiano creato migliaia di posti di lavoro. E le difficoltà in questi casi, come in quello più famoso di Uber o della startup degli architetti Cocontest, arrivano da un freno voluto dal legislatore per tutelare gli interessi delle società che già operano sul mercato. "Negli ultimi anni - ha detto Davide d'Atri, amministratore delegato di Soundreef - società innovative come Soundreef e Flixbus hanno rivoluzionato i rispettivi settori di appartenenza, incontrando però contesti normativi sorpassati e inadeguati. Vogliamo costruire un dialogo costante con le istituzioni perché il nostro contributo in termini economici possa spingere la crescita stessa dell'intero Paese". Fabio Maccione, responsabile public affairs di FlixBus Italia ha da parte sua sottolineato che "se da un lato il legislatore dichiara di voler supportare e dare impulso al mondo delle startup e dell'imprenditoria giovanile, dall'altro lato sembra resistere al cambiamento, non fornisce adeguati strumenti legislativi, non aiuta gli imprenditori e blocca i processi innovativi del Paese".

Le due startup hanno avuto il supporto del rapper Fedez, primo fra i grandi cantanti a lasciare la Siae per affidare la gestione dei suoi diritti d'autore a Soundreef. "Mi sono esposto una volta e subito dopo hanno fatto due interrogazioni parlamentari accusandomi di vilipendio al capo dello Stato e di incitazione alla rivolta di piazza", ha premesso Fedez, che ha voluto comunque ribadire la sua volontà di impegnarsi a lottare "per un cambiamento e contro il mantenimento di posizioni di privilegio. La rivoluzione digitale - ha detto - è già in atto e anche la politica non potrà fermarne la forza dirompente".

Le prerogative del Parlamento


Vincenzo Boccia, Pd presidente della commissione Bilancio della Camera risponde nella stessa occasione che "Il mio dovere di legislatore è cercare di regolare il mercato in maniera tale che nessuno soffra dai cambiamenti portati dalle nuove tecnologie, come abbiamo fatto per il settore dei trasporti". Un emendamento della manovrina approvata lo scorso maggio di fatto impedirà all'azienda di operare nel settore dei trasporti su strada annullandone le licenze. "Io sono dalla parte di Flixbus e dell'innovazione", ha detto Boccia, "ma l'autorizzazione a operare come concorrente e ottenere delle licenze è qualcosa che deve decidere il Parlamento e non un tecnico del ministero dei Trasporti che dà le licenze. Con questo non voglio dire che Flixbus ha ricevuto dei favori dal ministero, ma questo è un settore su cui deve decidere il Parlamento". Boccia difende il provvedimento dicendo che il compito del legislatore oggi che "non c'è più differenza tra economia reale e economia digitale" è evitare che il digitale spazzi via interi settori dell'economia tradizionale aggirando alle leggi di un paese. L'accusa di Maccione però è diversa: "Noi siamo arrivati in Italia dopo aver letto e studiato la normativa, non abbiamo imposto il nostro modello in Italia ma abbiamo cambiato il nostro business modellandolo sulla normativa italiana. La vostra risposta invece è stata cambiare la normativa".

FONTE: agi.it 

mercoledì 12 aprile 2017

Google ha scelto (e formato, con Enlabs) 10 startup italiane per l’Industry 4.0

Prima di essere intercettate da Google, fino a 4 mesi fa molte di queste startup neanche esistevano, alcuni founders avevano l’idea ma non il team, altri avevano idee «demenziali» (Coppola dixit) e poi sono state «raddrizzate». Sono 10, operano nell’IoT e nell’Agritech. E… altro che Mvp, alcune di loro sono già sul mercato

“Così Enlabs diventa anche incubatore”. Sarebbe un buon titolo di riserva, se non fosse che dietro l’operazione Android Factory 4.0 vi è molto di più.

Il senso di un’incubazione fatta velocemente e bene

Vi è di più perché dietro, oltre a LVenture, c’è un nome pesante della digital economy globale: Google. Vi è di più perché è frutto di un challenge verticale su una delle grandi scommesse italiane (soprattutto di governo) dei prossimi anni, ovvero quello dell’Industry 4.0.

Vi è di più perché le 10 startup e idee d’impresa selezionate in giro per l’Italia (5 le tappe del roadshow di scouting e oltre 200 le candidature) non sono solo state formate e portate al “Gran Finale” di fronte a investitori, corporate e addetti ai lavori (molti i founders di altre startup presenti in sala): queste 10 nuove aziende italiane sono già oltre un Mvp, molte di loro, quasi tutte, hanno già stretto partnership per andare subito sul mercato, per iniziare a fatturare, a vendere i propri prodotti.

Prodotti che, manco a dirlo, sono stati pensati per essere Android-first, ovvero sviluppate intorno al sistema operativo aperto di casa Google. E se manterranno quanto promettono nei loro pitch, c’è qualche startup di cui sentiremo parlare a lungo.

Le 10 startup “made in (Google) Italy”

Le 10 startup che hanno presentato i propri progetti durante il Gran Finale a Roma (ieri, 11 aprile) operano in diversi ambiti dell’Industria 4.0 tra cui IoT, Smart Home e AgriTech e sono:

1. Beeing, che opera nel settore dell’apicoltura e ha creato strumenti che permettono di salvaguardare le api monitorandone gli spostamenti e lo stato di salute da remoto con l’app e di allevare il proprio sciame in città;

2. BiTrack, dispositivo per ottimizzare la gestione e l’utilizzo di risorse industriali, minimizzando la perdita e il degrado dei materiali, a basso consumo energetico, facile da utilizzare e accessibile da remoto tramite un’app;

3. BXTAR, che si occupa della sicurezza del ciclista urbano e ha sviluppato un sistema di segnalazione luminosa che comunica con l’app e modula la luminosità in base alla pericolosità della strada;

4. ElectricianCS, app che assiste gli operatori negli interventi sugli impianti elettrici/domotici mostrando zone di passaggio dei fili e di intervento, analizzando rapidamente le reti con l’Intelligenza Artificiale, individuando guasti e fornendo indicazioni in Realtà Aumentata;

5. In Time Link, che connette gestori di distributori automatici e clienti tramite un’app che permette di ricevere promozioni e notifiche su nuovi prodotti e variazioni di prezzo, effettuare acquisti, richiedere supporto, cercare prodotti e pagare;

6. Neeot, dispositivo per la raccolta e l’analisi in tempo reale di dati in un’area di interesse che garantisce una copertura di decine di chilometri con un’infrastruttura minima, a basso consumo e facile da istallare, fornisce indicazioni utili e attiva automazioni con l’intelligenza artificiale;

7. Pako, una cassetta postale innovativa che permette di ricevere e inviare la posta anche quando non è presente nessuno, aprendosi attraverso un pin che l’utente inserisce con i dati di spedizione quando effettua acquisti online, mantenendo altissimi standard di sicurezza;

8. PoWaHome, dispositivo che può essere inserito in autonomia nelle cassette dell’impianto elettrico esistente per aggiungere funzionalità smart a interruttori, prese, avvolgibili e sistemi di oscuramento motorizzati e permette il controllo da remoto tramite app;

9. Revotree, che ottimizza la gestione e i consumi nell’irrigazione monitorando parametri ambientali, dati e previsioni meteo e elaborando predizioni e tendenze con l’intelligenza artificiale. Si integra con impianti già presenti e permette il controllo via app;

10. Serially, piattaforma che raccoglie news sulle serie tv selezionate dalle più importanti fonti del web e permette agli utenti di ricevere segnalazioni personalizzate tramite l’app e ai produttori e distributori di serie tv di presentare in maniera coinvolgente e diretta le novità.

Di queste 10 startup 7 (Beeing, Bitrack, BXTAR, In Time Link, Neeot, Powahome e Revotree) sono state ammesse al “Selection Day” di Luiss Enlabs, l’evento in cui saranno selezionate le startup che parteciperanno al prossimo programma di accelerazione di Luiss Enlabs.
Coppola (Enlabs): «nel mondo finanziata solo 1 startup ogni 100»

Anchorman del demo day di queste 10 startup debuttanti è stato il direttore del programma di accelerazione di Enlabs, Augusto Coppola, che nel suo speech introduttivo ha ricordato la differenza (sostanziale) tra acceleratori e incubatori, con una metafora: «L’incubatore è quel posto dove l’uovo diventa pulcino, l’acceleratore è dove il pulcino viene riempito di vitamine e portato a diventare polletto». Il problema vero, però, secondo Coppola è che le startup alle prime armi non riescono ad attrarre investimenti perché, molto spesso, non riescono a farsi “comprendere” dagli investitori. Anche per questo «in tutto il mondo la quantità di progetti e startup finanziate è dell’1,5 per cento», ha detto il direttore di Enlabs.

Certo è che a Coppola e al suo team va dato atto di aver selezionato prodotti di grande qualità. Magari non tutte sono startup destinate all’exit, ma sicuramente a fatturare, attrarre nuovi clienti (non solo in Italia ma in tutto il mondo) divenire presto delle Pmi innovative.
Ciulli (Google Italia): «puntiamo sull’Industria 4.0»

Ma fatturare e attrarre nuovi clienti è prima di tutto un mind-set. Un concetto reso molto bene da Diego Ciulli, Public Policy Manager di Google Italia, il quale rivolgendosi alle startup presenti durante il suo speech ha ripreso una metafora da lui già utilizzata durante le 5 tappe del roadshow di selezione: «pensate come se foste delle micro-multinazionali». «C’è un Paese che può stare nell’onda dell’innovazione giusta», ha continuato il manager Google. «E quell’onda in questo momento per l’Italia è l’Industry 4.0».

Fonte Aldo Pecora per startupitalia.eu

Come si fa il pitch perfetto

Presentarsi agli investitori oppure anche soltanto a un programma di accelerazione non è un gioco da ragazzi: non basta presentare un'idea. Ecco come dovrebbe essere il pitch perfetto per una startup

TORINO - Per chi vuole fare startup il pitch è uno dei primi scogli da superare. Il tempo scorre inesorabile, le lancette sull’orologio sembrano muoversi più velocemente di quanto accada nella normalità: lo startupper ha davvero pochissimo tempo (in linea di massima 3-4 minuti) per esporre la sua idea e fare in modo che risulti vincente. Ma come si fa il pitch perfetto?

Cos’è un pitch
Innanzitutto la parola pitch non è altro che la diminuzione della locuzione inglese «elevator pitch» ossia «lancio sull’ascensore», una locuzione che ben si addice alla natura incontaminata della startup. Sembra semplice, in fin dei conti è come dare un esame all’università davanti a una commissione, no? Non esattamente, perché, nell’elaborazione e presentazione di un pitch ci sono alcune fondamentali regole da seguire e che permettono di rendere la propria idea più appetibile a qualsiasi business angel o programma di accelerazione che sia intenzionato a prendervi sotto la sua ala.

Come si realizza il pitch perfetto
Si parte dal problema: l’abbiamo detto molte volte. E’ necessario portare all’attenzione di chi ascolta qual èl’effettiva esigenza che intendete risolvere e soprattutto, il numero più preciso possibile di persone che hanno quel problema e quindi quel bisogno. Il vostro mercato, infatti, sarà costituito potenzialmente proprio da queste persone. Il terzo step è costituito dall’idea e quindi dalla soluzione che avete trovato per risolvere quel determinato bisogno. In quarta battuta è necessario presentare nel dettaglio il processo di sviluppo dell’idea, cioè come intendete realizzare il vostro progetto e soprattutto in quanto tempo. Un pitch deve necessariamente indicare il modello di business che la startup intende seguire. Dovete far capire nel dettaglio come l’ipotetica impresa starà in piedi, quindi come produrrà il proprio guadagno. Non preoccupatevi di essere «umili», portate cifre precise e dati che validano il vostro modello di business. Chi vi dà dei soldi (o comunque un contributo di qualsiasi tipo) vuole sapere come e in quali quantità questi fondi potranno ritornagli indietro. Un altro tassello importantissimo di un pitch è il team: alcuni sostengono addirittura che, nella presentazione del progetto, l’informazione relativa alla componente umana della startup, persone e loro rispettivi ruoli, vada presentata ancor prima del modello di business e questo perché, come abbiamo detto più volte, l’incompletezza o lo smembramento del team è una delle principali cause di fallimento precoce di una startup. Prima di presentarvi a un pitch assicuratevi che la vostra squadra sia completa e che tutti i profili necessari siano ricoperti in modo adeguato.

Il vantaggio temporale e il capitale
Per rendere il vostro progetto appetibile dovete eliminare qualsiasi barriera d’ingresso. Questo tendenzialmente si traduce nel vantaggio temporale che la startup ha rispetto ad altre, ovvero quanto può essere veloce il processo di sviluppo dell’idea prima che qualcun altro arrivi a formulare un progetto analogo. A livello concreto si traduce in quanto tempo il team è in grado di produrre massa critica ed entrare sul mercato. Più è veloce il processo di sviluppo, più avete possibilità di aver successo. Un pitch può essere fatto sia per presentarsi a un programma di accelerazione sia per ottenete fondi. In quest’ultimo caso è necessario specificare non tanto quanti soldi servono, ma soprattutto per cosa servono. Molti startupper tendono a chiedere fondi per lo sviluppo dell’idea, mentre dovrebbero destinare una percentuale considerevole di questi fondi per attuare al meglio strategie di marketing. Non è un gioco da ragazzi, preparare il pitch perfetto è una cosa seria: va studiato e curato nei minimi dettagli. E soprattutto, dev’essere veloce: cercate di non superare mai i 3 minuti. Dimostrerete non solo capacità di sintesi, ma soprattutto di aver ben chiaro chi volete raggiungere e come.

A Parigi sorgerà Station F, il più grande campus di startup del mondo

Il magnate svizzero Xavier Niel è inarrestabile. Dopo aver acquisito il 15% di Telecom e aver fondato la Scuola 42, un istituto gratuito e innovativo dove gli studenti vengono selezionati solo sulla base del talento e della motivazione, ora è la volta di Station F, che ha proiettato Parigi e la Francia in prima linea sulla scena digitale globale. L’apertura di Station F avverrà a giugno. Il progetto lo renderà il più grande campus di startup del mondo. Fondato da Xavier Niel nel 2013 e diretto da Roxanne Varza, ospiterà mille startup. Alcune parteciperanno al Programma Fondatori e pagheranno 195 dollari al mese per l’affitto di una scrivania, ma la stragrande maggioranza si trasferirà lì grazie a un partner: Facebook , Vente-Privée, Zendesk e una dozzina di altre aziende tecnologiche stanno per affittare un piccolo pezzo del palazzo per “affidarlo” ai giovani startupper.

Dall’ex stazione merci a campus
L’elegante scheletro in cemento è ancora nudo, ma da giugno ci saranno 3000 postazioni di lavoro, spazi per eventi, un auditorium e ristoranti. Ci saranno aziende, avvocati, commercialisti, un ufficio postale. L’idea è quella di provvedere a tutto il necessario all’interno dell’edificio, in modo da non avere mai la necessità di uscire. Lo spazio in cui sorgerà Station F fu inaugurato nel 1929, era una stazione merci a ridosso della stazione di Austerlitz. Intorno agli anni 2000 viene quasi abbandonato, un fantasma urbano sulle rive della Senna. Station F lo ha resuscitato in pochi mesi: le sue tre navate fatte a vetri donano luce e aria. Ai lati sono posizionati degli eleganti cubi, adagiati ai fianchi di queste gallerie che si estendono per 34 mila metri quadrati di grandezza. Nel seminterrato, file interminabili di armadietti, docce e servizi igienici. Come parte del progetto, Station F sta ristrutturando due edifici vicini che offrono alloggi sociali per 800 persone che sono in qualche modo legate al campus e prevedono di aprire nel 2018.

Silicon Valley Indoor
«Il progetto è quello di ricreare una Silicon Valley Indoor» ha detto la portavoce Rachel Vanier, che da mesi riceve le visite di delegazioni estere. Cinesi, americani, indiani e tutti gli europei sono venuti a vedere la sfida folle di Xavier Niel, che ha investito nel progetto 250 milioni di euro. Il tutto sotto la guida di un team internazionale, guidato da Roxane Varza, ex TechCrunch Francia e Microsoft Ventures. Station F sarà “il” luogo in cui l’Europa tecnologica e digitale potrà riunirsi. Mounir Mahjoubi, l’ex presidente del Consiglio nazionale per lo sviluppo digitale francese, ha commentato: «La forza del progetto è la sua dimensione. Station F è un ecosistema in sé. Non stiamo parlando di un campus, si parla di una sorta di città digitale del futuro».

La città che non dorme mai
A dimostrazione di quanto afferma Mahjoubi, la “città” sarà divisa in tre “quartieri”. Il primo, con una caffetteria e un auditorium con 400 posti a sedere, sarà l’agorà di Station F. Il secondo, riservato alle startup, sarà il suo alveare creativo, dove diversi grandi spazi saranno affittati da terzi, mentre il resto sarà occupato dagli animatori dei progetti selezionati, più di mille persone. Il terzo quartiere sarà la piazza del paese di Station F, con i ristoranti aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Una volta aperto, non si chiuderà mai: «Questa città vivrà giorno e notte». Il mondo delle startup è avvertito.

Fonte Startup.eu

lunedì 10 aprile 2017

Da blog a Startuppa con noi. Paolo De Nadai: «Vi racconto i 10 anni di ScuolaZoo»

La Business Factory che vuole essere punto di riferimento dei Millennials e dei ragazzi della Generazione Z compie 10 anni e lancia un programma per individuare e selezionare nuovi Business Mate. Ne parliamo con il founder e CEO di OneDay Group.

Com’è iniziata l’avventura di ScuolaZoo è scritto un po’ dappertutto. All’inizio, nel 2007, fu un blog. Oggi, dopo 10 anni tondi tondi, quel blog è diventato OneDay Group: 10 milioni di euro di fatturato a fine 2016, un team di 62 persone (guidato da Paolo De Nadai, Francesco Nazari Fusetti e Betty Pagnin) un film, una community, quella di ScuolaZoo, che conta 2,7 milioni di fan su Facebook e oltre 2,3 milioni di utenti unici sul sito. E tante altre cose. Ora anche Startuppa con noi, un programma di accelerazione per startup. Diverso, certo. Come è speciale tutto quello che passa per ScuolaZoo. Speciale perché nasce dalla volontà di ascoltare Millennials e i ragazzi della Generazione Z e intercettarne desideri, bisogni, aspirazioni. Ecco sì, i dieci anni di ScuolaZoo diventano l’occasione e il pretesto per tirare un po’ una linea, azzardare un bilancio e dare uno sguardo ai nuovi progetti e perché no? Anche al futuro. Per questo StartupItalia! ha incontrato proprio Paolo De Nadai. Ecco cosa ci ha detto.

Paolo, 10 anni di ScuolaZoo.

«Il primo termine, che non è poi solo una parola, che i viene in mente è passione».

Come si cercano e si conquistano nuovi traguardi?

«Abbiamo iniziato con un blog. Poi sono arrivati la pubblicità, l’ecommerce, il diario (che a oggi è il terzo più venduto in Italia), i viaggi evento e ora l’incubatore. Nel corso di questi anni il modello di business si è evoluto. ScuolaZoo è una realtà che cresce ogni anno. E’ fisiologico avere nuovi stimoli. Facciamo sempre cose nuove in aggiunta a quelle attuali».

L’asset segreto di ScuolaZoo.

«La vicinanza ai ragazzi e la nostra capacità di stare su più media. Non siamo solo una community online, ma anche fisica, con eventi dentro le scuole, con i viaggi evento. Una varietà veramente importante».

Per ragazzi, cosa intendi?

«Millennials, ma non solo. Tre quinti dei ragazzi delle superiori non sono Millennials, ma membri della Generazione Z. Il nostro gruppo parla a entrambi».

In che modo?

«I Millennials sono cresciuti e per questo abbiamo sviluppato SoS studenti, un sito dedicato agli universitari, e la sua controparte fisica per viaggi in giro per il mondo. L’ultimo brand che abbiamo acquisito è Sette in condotta, dedicato ai ragazzi delle scuole Medie, un diario scolastico che fa 70 mila copie. L’abbiamo acquisito con l’idea di dare un’anima digitale a questo diario storico».

Paolo, come sono cambiati i ragazzi in questi 10 anni?

«Sono cambiati tantissimo. Come ScuolaZoo, che inizia come un blog, poi diventa un sito. Poi ancora arriva Facebook, dove ci sono anche i genitori dei ragazzi. Che a quel punto si spostano su Instagram. Alla fine WhatsApp. E se guardo alla finestra di ogni media, mi rendo conto è sempre più breve».

I nuovi progetti di OneDay.

«OneDay è sia azienda che business factory e vuole essere il compagno di business di quante più realtà e community diverse. Per questo abbiamo lanciato sul nostro sito Startuppa con noi, una sezione dedicata ai ragazzi che cercano un business partner. Oltre al capitale diamo anche supporto per la crescita in termini di amministrazione, ufficio stampa».

Da quando è online Startuppa con noi?

«Startuppa con noi è andato online circa 2 mesi fa e abbiamo già ricevuto 5 candidature. Vogliamo offrire ai progetti innovativi non solo supporto finanziario, ma anche operativo».

Startuppa con noi è una call per startup, ma non ha scadenza. Paolo ci dai altri particolari?

«E’ una selezione particolare. Oltre al format dell’application, chiediamo ai ragazzi di registrare un video selfie in cui si presentano, in modo unconventional. Io stesso ho registrato un video selfie per presentare il progetto».

giovedì 30 marzo 2017

Una startup ha creato un super cioccolato biologico senza zucchero

iQ Chocolate è libero da tutti i 14 allergeni generalmente presenti nelle barrette comuni, ed è a basso indice glicemico. La dolcezza del cioccolato viene dal nettare del fiore di cocco.

Quante volte abbiamo avuto voglia di cioccolato ma abbiamo resistito alla tentazione per paura di ingrassare? E’ ormai opinione comune che si tratti di un ingrediente poco indicato per la linea. La verità, però, è che la fava di cacao, di per sé, è uno cibi più nutritivi che esistano: il problema è il modo in cui viene trattato. Lo sanno bene le fondatrici di iQ Chocolate, una startup del Regno Unito che ha creato la prima barretta di cioccolato completamente biologica.

La tavoletta con basso indice glicemico 
La rivoluzione alimentare che ha preso piede già da diversi anni ha visto crescere un interesse sempre più grande su ciò che mettiamo sulle nostre tavole. Mai come ora siamo consapevoli di mangiare o meno le cose giuste. Questo non significa però che dobbiamo rinunciare ai piccoli peccati di gola. iQ Chocolate ha creato il cioccolato biologico “dal seme alla tavoletta”.

La produzione è libera da tutti i 14 allergeni (tra cui noci, glutine, frumento e soia) ed è a basso indice glicemico, il che significa che previene livelli alti di glucosio. La dolcezza del cioccolato viene dal nettare del fiore di cocco, di per sé un “super alimento” particolarmente ricco di potassio, magnesio, zinco e ferro; una fonte deliziosamente naturale delle vitamine B1, B2, B3, B6 e C. È anche molto ricco di altri minerali ed enzimi che aiutano un lento assorbimento nel flusso sanguigno, ideale per i diabetici di tipo 1 e 2. iQ Chocolate ha creato un prodotto antiossidante, assolutamente delizioso, in una varietà di sapori vivaci. Si può finalmente mangiare del cioccolato senza sensi di colpa.

Un super alimento che è anche buono 
Le fondatrici Kate e Jane raccontano che si può mangiare il cibo preferito ed essere in buona salute. iQ Chocolate ha deciso di mantenere i benefici per la salute della fava di cacao al suo stato naturale, esaltandone il gusto con una ricetta che regala un ottimo sapore. Le fondatrici si sono avvalse dell’arte e della scienza di lavorazione del cioccolato dal seme nei modi tradizionali, verificando i risultati passo dopo passo.

Con l’aiuto del Rowett Institute of Nutrition and Health alla Aberdeen University, Kate e Jane hanno provato e testato i vari semi. Questi rigorosi test sono andati avanti per qualche tempo. Il problema si è creato una volta che l’azienda ha trovato una formula e messo sul mercato il prodotto, convinta che i clienti fossero soddisfatti delle proprietà e, soprattutto, del gusto. Purtroppo non è stato così, il mercato non ha risposto come ci si aspettava. Kate e Jane hanno finito per mettere in comune i propri fondi per iniziare il processo di produzione da sole. Dopo aver cambiato ricetta e testato di nuovo il prodotto, hanno ottenuto il sigillo di approvazione dallo chef Mark Greenaway. La sua approvazione ha fatto decollare gli affari.

Quando iQ Chocolate è arrivato sugli scaffali del Whole Foods Market di Edimburgo e di Glasgow, la società ha ottenuto due stelle nelle Great Taste Awards. Ora la domanda di questo tipo di cioccolato è in enorme crescita anche nel mondo sportivo, ma non solo: il suo potenziale di rallentamento del declino cognitivo in età avanzata sta attirando fasce sempre più ampie di clientela. iQ Chocolate oggi viene esportato in 13 paesi, ma i piani di Kate e Jane sono di espandere ancora di più il proprio business.

Fonte: Lucia Lorenzini per startupitalia.eu